Illa è presidente, il procés è finito
A Barcellona, il socialista Salvador Illa diventa il primo presidente catalano non indipendentista dal 2010. A lui e ai suoi alleati, il compito di risanare le ferite aperte dal fallito procés
Questa è cosedispagna, una newsletter che non so quanto riuscirò a mantenere a cadenza settimanale in queste giornate caldissime (ma ci provo!) e in cui racconto la Spagna che mi colpisce.
Oggi parliamo della Catalogna dopo l'elezione del socialista Salvador Illa alla presidenza della regione, con i voti di ESC e dei Comuns, gli indipendentisti progressisti e repubblicani. Il primo presidente non indipendentista degli ultimi 15 anni, con il compito di riportare la stabilità e la "noia", dopo i furori dell'indipendentismo e degli scontri con Madrid. Ce la farà?
Illa presidente della Catalogna, la stabilità necessaria alla regione
Tutto come previsto: il socialista Salvador Illa è stato eletto presidente della Catalogna con i voti del suo PSC, di ERC, la Sinistra Repubblicana Catalana, e dei Comuns, la galassia di estrema sinistra. È la prima volta dal 2010 che la Generalitat non ha un presidente indipendentista e i media spagnoli sono (quasi) tutti d'accordo: la sua elezione è la fine del procés, il tentativo di arrivare illegalmente all'indipendenza compiuto nel 2017, con tutte le conseguenze penali, politiche ed economiche.
Ma per capire cosa è successo, bisogna fare un passo indietro e chiedersi prima di tutto: la Catalogna è una regione indipendentista? La risposta potrebbe sorprendere: no, non lo è. È nazionalista, nel senso che difende la propria identità e vuole una forte autonomia all'interno del Regno di Spagna? Sì, lo è e lo è sempre stata, sin dalla nascita della democracia. E ha avuto un grande vantaggio. Il sistema elettorale spagnolo sovrarappresenta i partiti che hanno successo locale e non si presentano in tutto il Paese.
Così nelle legislature in cui non hanno ottenuto la maggioranza assoluta, sia il PSOE che il PP si sono ampiamente serviti dei partiti nazionalisti catalani (CiU) e baschi (PNV) per poter governare, in cambio di vantaggi e privilegi ad hoc. Narrano le leggende che l'ex presidente del Governo José Maria Aznar, attuale fustigatore di qualunque accordo con i nazionalisti e sacerdote dell'ortodossia della destra conservatrice, abbia detto "parlo catalano nell'intimità" pur di raggiungere un accordo con CiU.
Fatto sta che di indipendenza non si era mai parlato. Poi nel 2012 succede l'inimmaginabile e non verrà mai sottolineato abbastanza che la svolta indipendentista non è arrivata da un'istanza della società catalana, ma è stata usata da Arturo Mas, allora presidente della Generalitat per CiU, per nascondere gli scandali di corruzione, che si sarebbero poi portati via i vertici del suo partito, e la situazione economica catastrofica. Nell'autunno del 2012, il president aveva indetto nuove elezioni, per dare il via all'autodeterminazione dei catalani, in base al "diritto di decidere", diventato protagonista di ogni conversazione degli anni successivi. Autodeterminazione? Indipendenza? Probabilmente anche mezza Catalogna nazionalista era scesa dalle nuvole: un conto è ricavare il più possibile dai negoziati con Madrid, un altro è essere una navicella nel mare in tempesta della globalizzazione. I piani non vanno sempre come si vuole e da quelle elezioni è iniziata l'ascesa di ERC, che oggi sostiene i governi socialisti di Madrid e di Barcellona. Ed ERC sì, è indipendentista per fondazione, formazione e cultura.
Da quelle elezioni del 2012 (e non dal referendum illegale dell'ottobre 2017) è iniziato il periodo di instabilità politica, economica e sociale che ha portato la Catalogna a oggi. Da allora ci sono state ben quattro elezioni regionali, nel 2015, nel 2017, nel 2021 e nel 2024, due referendum illegali (il primo, voluto da Mas e chiamato semplicemente consultazione, il secondo, nel 2017, con la proclamazione unilaterale della repubblica catalana) e la fuga di oltre 5000 aziende verso Madrid o Valencia, preoccupate dall'incertezza politica, tra loro il fiore all'occhiello della cultura catalana, il Grupo Planeta, il più importante gruppo editoriale spagnolo. La Catalogna ha vissuto dodici anni in tempesta, avendo come priorità l'indipendentismo e i guai giudiziari causati ai suoi leaders, a cominciare da Carles Puigdemont, il president che ha dichiarato l'indipendenza unilaterale e che vive in Belgio per sfuggire alla giustizia spagnola. El País sintetizza bene l'attuale sentimento popolare: "Il mondo degli affari ne ha le palle piene, la gente ne ha le palle piene… Gli indipendentisti ne hanno le palle piene!" scrive citando un "uomo d'affari molto influente nella vita sociale di Barcellona". E poi cita "un interlocutore di lunga esperienza nell'imprenditoria e nel mondo post CiU [dal finale di CiU è nato l'attuale Junts]": "Quello di cui abbiamo bisogno adesso sono quattro anni di un governo noioso".
Quatto anni. Sembra un miraggio: riusciranno il PSC, ESC e i Comuns, ovvero il partito socialista e la galassia indipendentista di sinistra, a convivere e a trovare la quadra per ben quattro anni? Illa, che è il meno istrionico dei leaders catalani e che ha una biografia rassicurante, giura di sì, anche perché ha promesso che si limiterà a realizzare il programma concordato con i suoi alleati (e ha un solo deputato a garantirgli la maggioranza di cui ha bisogno). Nei suoi primi discorsi da president usa parole che la Catalogna non conosce più da almeno un paio di decenni: dialogo e incontro. Si sente presidente di tutti i catalani e intende dialogare con l'opposizione conservatrice del PP e indipendentista di Junts. Dialogo è una parola sconosciuta anche a Madrid e che mette in pericolo il governo di Pedro Sánchez.
Per assicurarsi l'astensione di Junts alla propria elezione a presidente, Sánchez ha fatto approvare l'amnistia in favore dei leader indipendentisti che hanno proclamato la repubblica catalana e si sono macchiati di alto tradimento (la si rigiri come si vuole, ma chi attenta all'unità di un Paese commette alto tradimento). Per garantire il governo socialista a Barcellona, ha accettato un nuovo regime fiscale per la Catalogna, con l'Agenzia delle Entrate locale che riscuoterà le tasse, creando così asimmetrie rispetto alle altre regioni spagnole. Illa ha provato a rassicurare i colleghi delle altre Comunidades Autónomas, parlando della solidarietà che non mancherà, ma non sono ancora chiari quali saranno i meccanismi che permetteranno la redistribuzione delle tasse raccolte a Barcellona. Sánchez parla di dialogo, di ritorno alle condizioni che permettano alla Catalogna di ritrovare il proprio posto in Spagna. Ma le sue scelte lo lasciano nelle mani di Junts, che potrebbe togliergli l'appoggio a Madrid in base alla situazione giudiziaria di Carles Puigdemont, e, soprattutto, permettono al PP e ai suoi potenti media di accusarlo di attentare all'unità del Paese e alla Costituzione, riducendo la sua popolarità e la sua credibilità.
Sánchez ha però ragione su un punto: la Catalogna ha bisogno di dialogare, di lasciare da parte i radicalismi e di superare il disastro creato dal PP sin dal ricorso al Tribunal Constitucional contro lo Statut approvato dai catalani, nel 2006. Sono tante le ferite aperte tra Madrid e Barcellona. Tocca a Illa e al PSOE trovare la ricetta per curarle, mediando anche nella crescente rivalità che separa l'indipendentismo repubblicano di ESC e quello conservatore di Junts. Due partiti che possiedono le chiavi anche del Governo di Madrid. Tempi difficili, ma decisamente interessanti.
Frase del giorno
"No me importaría dar a luz in Cantabria. Eso no es tercer mundo".
"Non avrei problemi a partorire in Cantabria, non è il terzo mondo".
(L'influencer Marta Pombo, sorella di María, una delle influencer più amate di Spagna, a sua volta ex di Álvaro Morata, che ha suscitato le reazioni indignate dei cantabri)
Tirando le fila
L'ondata di calore in corso in Spagna è costata la vita a oltre 600 persone, dal 29 luglio al 5 agosto, quasi il doppio rispetto alla settimana precedente, quando i morti sono stati 335. Il caldo non dà tregua nel Paese e dall'inizio dell'estate si sono registrati oltre 1300 morti attribuibili alle alte temperature; la regione che registra il numero più alto di vittime è la Comunidad de Madrid, seguita dalla Catalogna e dalla Castilla y León.
Non perdete di vista Isabel Díaz Ayuso, la presidente della Comunidad de Madrid, e gli affari del suo intorno familiare. Suo fratello avrebbe ottenuto alte commissioni dalla vendita di mascherine alla Regione durante la pandemia, il suo compagno Alberto González Amador ha ammesso una frode fiscale da 520mila euro e l'ultima arriva dall'attico in cui vive la coppia. Sarebbe stato acquistato in contanti dall'impresa Babia Capital per 955mila euro, prestati da un terzo non ancora identificato, secondo El Diario. Per i maligni, le indagini su Begoña Gómez, moglie di Pedro Sánchez, servono a distrarre dai guai della presidenta.
Se si prende il PIL come indice per stabilire il numero delle medaglie che un Paese dovrebbe poter vincere alle Olimpiadi, la Spagna avrebbe dovuto vincerne 27, 9 più di quelle ottenute, mentre l'Italia 33, sette in meno delle 40 ottenute. Dove sbaglia la Spagna e dove vince l'Italia? El Mundo guarda al modello dei due Paesi: la Spagna non ha particolari politiche sportive, non ha neanche un Ministero dedicato al tema, l'Italia si affida al CONI, che investe 45 milioni all'anno nello sport d'élite. Inoltre permette agli atleti di entrare nelle forze di sicurezza dello stato, che garantiscono loro stabilità economica e tempo per gli allenamenti. La cosa incuriosisce molto il quotidiano madrileno.
P.S.
Mi trovate anche su venividiscrissi, newsletter di interviste e riflessioni, in cui seguo le mie curiosità, senza pormi limiti di argomenti e ampliando sempre orizzonti.
L'ultimo articolo, sulla lettura estiva dei libri di Marilù Oliva dedicati a Iliade e Odissea, raccontate con lo sguardo delle eroine e delle dee. Un'immersione nel mondo omerico e tutte le chiavi di lettura, attualissime, che sa offrire ancora oggi. L'ira funesta del Pelide Achille e la sua attualità
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